Andrea Baffoni - Storico e critico d'arte

ANGELA ASATRYAN: IL NERO CHE RACCONTA


Premessa sul colore

La pittura di Angela Asatryan riflette un complesso alternarsi di elementi cromatici che richiamano la tradizione statunitense del Color-field. Espressionismo astratto, di soluzione informale, dove la superficie pittorica diventa territorio riservato al colore, in tutte le sue dinamiche interne e nell’autonomia della propria espressività.

L’artista opera celandosi dietro il velo sottile di materia cromatica camuffando il talento nella capacità, resa al colore, di trasmettere emozione. Dal rosso al blu, al giallo, con tutte le gamme intermedie, la pittrice libera il proprio spirito sulla tela formando onde astratte di energia cromatica. Attraverso la sovrapposizione di pigmenti esprime una libertà interpretativa fine a se stessa. Non c’è volontà di mimesi, ne richiamo alla natura: il colore agisce autonomamente grazie al proprio potere evocativo. L’artista non vuole condurci in nessun luogo, ma aprirci ad un’esperienza unica, vissuta attraverso le gamme. Esperienza che per prima vive quotidianamente nel silenzio del proprio studio.

Tutto il lavoro di Asatryan si basa su questi equilibri, percorrendo una strada di espressionismo astratto che condensa la forma in una rinascita. Le masse di colore in fusione e sovrapposizione esprimono la forza dei pianeti nelle fasi originarie, cristallizzano fluidità materiche entro spazi puri. Liberatasi dai cardini della rappresentazione l’artista guida il proprio essere cesellando il colore e originando opere dove l’interiorità prende il posto dell’esteriorità.
L’opera presenta nuove possibilità, luoghi del “sentire”, dove il “vedere” è lasciato ad ognuno di noi.


Nel nero ogni possibilità

Su questo sfondo, dove tutto sembra corrispondere ad una precisa volontà programmatica, l’artista interrompe tale equilibrio con squarci d’oscurità. Inverte il senso della creazione cosmica dove, fisicamente e spiritualmente, la luce interviene a rompere il buio del vuoto siderale. Non più i colori che determinano la nascita degli elementi ma, al contrario, masse di nero pronte a ristabilire ordine in un caos magmatico dove nulla è più riconoscibile.

Il nero di Angela Asatryan determina un gioco delle parti fra vuoti e pieni che, pur facendo il verso allo spazialismo fontaniano, parla essenzialmente di pittura. L’artista resta pittrice, non reinventandosi interprete della materia.

La sua formazione, del resto, è legata alla figurazione, in un percorso dai contorni tradizionali dove il lavoro è basato sul rapporto con il vero e con gli standard della rappresentazione. Nel corso della sua maturazione, Asatryan compie un percorso a ritroso, partendo dalla figura e giungendo alla sua eliminazione. Tale perdita, tuttavia, non corrisponde ad un’assenza assoluta. L’artista, infatti, elimina il ricorso alla forma per giungere alla sua essenza. Il dipinto adesso parla di un vuoto che, paradossalmente, è pieno di tutto l’esistente, orientando la sua ricerca verso un nuovo orizzonte linguistico, dove la forma è garantita dal suo stesso annullamento.

Ciò che appare come un paradosso è al contrario il senso più compiuto di un processo pittorico e filosofico dove il vuoto – quindi il nero – agisce quale metafora di “spazio sacro”, traduzione in concreto del vaso alchemico come allusione al grembo materno: luogo del coesistere e della vita in divenire, principio artistico del “creare d’intelletto”.

Rinunciando alla figura Asatryan rinnova la coscienza del mistero, componente indispensabile per gli artisti che, prima di parlare, interrogano se stessi sul senso dell’esistere. Il corpo diviene “impronta” operando in seno alla pittura, come la reliquia nell’ambito della fede. La tela del dipinto assume la valenza del sudario, dove la sagoma impressa richiama al culto della Sindone. Un atto di fede per vedere, contro ogni ragionevole dubbio, il miracolo della vita.

In alcune opere del 2015, come Solitudine, Malinconia, Angoscia surreale, o Paradiso perduto, Asatryan racconta di un linguaggio pittorico dove dalla rappresentazione del mondo si passa all’interpretazione dell’essenza.

L’animo femminile di quest’artista, originaria dell’Armenia (ma che nella propria pittura non porta elementi della sua cultura), si esplica proprio nel ricorso al nero, interpretato nel senso del mistero. Da qui la sua arte può essere intesa come superamento della forma per indirizzarsi verso l’ampio spettro dell’anima, impossibile da rappresentare se non attraverso un principio informale di pura emotività. Letta in questo modo l’arte di Asatryan va innestata nel novero di quelle esperienze neo-informali che concorrono a rafforzare il punto di vista di chi, nella pittura, cerca qualcosa d’altro rispetto al semplice raffigurare: il senso nascosto del dipingere e del vivere stesso.

Un percorso affrontato dagli artisti di quella stagione anni Cinquanta, alternata fra spazialismo ed informale, le cui ricerche rompevano il confine della materia, un limite fin qui concepito come inviolabile, con conseguenze decisive. Artisti spinti tanto dal trauma della storia, quanto dalle esperienze dirompenti delle avanguardie storiche, prima fra tutte la soluzione futurista dell’idealismo cosmico (pre-spazialista) prampoliniano, capace di indirizzare, filosoficamente e pittoricamente, le formule aeropittoriche al superamento dei limiti materici ed atmosferici. Nell’ambito della pittura e scultura facevano la loro comparsa elementi di tragica espressività come tagli, buchi e lacerazioni, vuoti riempiti di un nero che non parlava solo di spazio vuoto fisico, ma forse, e soprattutto, esistenziale. Il trauma di un’esistenza vissuta all’ombra della catastrofe, riverberato in soluzioni estreme che hanno lasciato all’arte un’eredità indelebile, cui la stessa Asatryan inconsciamente si rifà, ma senza l’ingombro di una abnegazione assoluta, mantenendo cioè una propria forte identità.

Il lato femminile, particolarmente, poiché, se è vero che la linea della ricerca si riallaccia alle esperienze ricordate è pur vero che Asatryan giunge in Italia digiuna di tali vicende, lasciandosi convincere, a tale svolta estetica, esclusivamente dal proprio sentire.


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